
Autore: Salvatore Spinosa
Data di pubblicazione: 10 dicembre 2021
I tre cervelli
Una nota teoria elaborata dal neuroscienziato Paul MacLean negli anni Settanta definiva il "Triune Brain", ovvero il fatto che il nostro cervello fosse diviso in tre parti.
Ognuna di queste sezioni è frutto, secondo MacLean, di una diversa fase del processo evolutivo.
Il primo cervello è quello rettile o rettiliano, residuo da “uomo delle caverne” e presiede ai nostri processi istintivi puri.
Il cervello rettile ci fa scappare di fronte al pericolo improvviso (come la belva feroce che aggredisce) o ci porta ad attaccare per istinto il nemico in difficoltà; determina insomma quello che chiamiamo istinto di sopravvivenza, l’autoconservazione ed il desiderio sessuale di riproduzione e si attiva in automatico, in modo inconscio.
Il secondo cervello si chiama “limbico” è frutto della fase evolutiva successiva, in cui abbiamo imparato a provare e riconoscere le emozioni.
Il cervello limbico riempie il centro della nostra scatola cranica e determina una comunicazione inconsapevole, alimentando il nostro senso di socialità, il vivere con gli altri e l’agire per il riconoscimento, per l’approvazione del proprio gruppo sociale: è il centro dei sentimenti.
Il terzo ed ultimo cervello è collocato nella neocorteccia, frutto della fase finale dell’evoluzione, è la fonte della nostra razionalità.
La zona neocorticale determina il pensiero pienamente conscio, con il quale attiviamo i meccanismi di comunicazione, verifica e analisi di fronte a problemi complessi o situazioni nuove che richiedono processi cognitivi più elaborati.
Com’è facile intuire, arrivare ad attivare il terzo cervello richiede tanta fatica; basti pensare a quando studiamo argomenti impegnativi o cerchiamo di risolvere un calcolo complesso; il senso di stanchezza che proviamo dopo un certo lasso di tempo è la testimonianza evidente della fatica e delle energie che l’attivazione della neocorteccia comporta.
Proprio perché costa fatica e noi cerchiamo sempre di seguire la regola “minimo sforzo e massimo risultato”, tendiamo ad attivare il terzo cervello solo quando è indispensabile.
E se trasliamo quanto detto ai fatti economici che quadro ricaviamo?
J.S. Mills definì l’homo oeconomicus pienamente razionale, privo di condizionamenti emotivi, ma la realtà che viviamo ogni giorno è molto diversa.
Per questo, in contraddizione con il dettato della teoria classica, soprattutto negli ultimi decenni, due dei premi Nobel per l’economia sono psicologi che si sono occupati dei comportamenti economici, guardando al modo in cui gli esseri umani agiscono quando devono prendere decisioni in condizioni di incertezza; ad esempio come reagiscono di fronte allo stress dell’andamento dei mercati ed al senso di incertezza che un crollo delle quotazioni induce sul risparmiatore poco consapevole e, viceversa, il delirio di onnipotenza che pervade chi indovina una scommessa di investimento e pensa di essere diventato un guru infallibile.
Quale cervello si attiva quando investiamo? La risposta è che li attiviamo tutti e tre e dipende fortemente dal livello di competenze ed esperienze dell’investitore/risparmiatore.
La familiarità con i processi di investimento e gli andamenti di mercato abbattono il livello di stress ed il senso di pericolo.
Se il cervello rettile ci induce a fuggire di fronte ad un crollo di mercato e se il cervello limbico ci fa sovrastimare il rendimento di un immobile per l’affettività legata al fatto che è un bene “di famiglia”, è chiaro come tendiamo a sopravvalutare ciò che riconosciamo con facilità a discapito di ciò che può essere più efficace e produttivo ma che richiede uno sforzo di razionalità ed un aumento delle nostre competenze.
Alla luce di quanto detto, la soluzione davanti a noi è chiara e semplice: educare finanziariamente con una comunicazione semplice i risparmiatori per abbattere le barriere ed accorciare il percorso verso scelte finanziarie consapevoli.
Creare familiarità con i temi della finanza significa far entrare nel noto delle persone i vantaggi degli investimenti finanziari per saper scegliere con più semplicità in funzione degli obiettivi, curandosi meno dell’andamento dei mercati nel breve e molto di più della gestione efficiente del patrimonio nel medio lungo termine.
Ragionando così, si affrontano momenti critici di mercato con serenità, ampliando lo sguardo in modo da intenderli come normali fasi di cicli economici che da sempre fanno parte delle naturali dinamiche dell’economia e di un mondo che cresce, da sempre, in modo discontinuo e dove ogni crisi è l’opportunità per una nuova normalità ed un'evoluzione funzionale al miglioramento collettivo.
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